La recidiva è un istituto, mutuato dal diritto penale, utilizzata nei procedimenti disciplinari, nel caso in cui un lavoratore incorra, nel periodo di due anni precedenti, in sanzioni indicate dal ccnl applicato in azienda.
La recidiva viene richiamata nell’ultimo comma dell’art. 7 della legge 300/70, dove il legislatore circoscrive “l’ambito temporale” di efficacia della stessa “Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione”.
La recidiva va inserita già nella lettera con la quale si contesta l’addebito al dipendente, indicando i precedenti procedimenti e le sanzioni che sono state applicate. La descrizione deve essere precisa e dettagliata, non sembra rilevare il fatto che la lettera debba riportare il termine “recidiva”, anche se alcuni ccnl la richiedano.
Non è possibile inoltre richiamare quei procedimenti disciplinari per i quali le sanzioni non sono state realmente applicate, o sono state annullate o siano oggetto di esame nell’impugnazione dinnanzi al collegio arbitrale. In quest’ultimo caso è necessario attendere il lodo.
La stessa Cassazione con sent. n.6691 del 07/12/1981 ha affermato che rientrano nel concetto della “recidiva” soltanto quelle sanzioni che siano state “effettivamente” applicate; in caso contrario, le stesse non avranno valore.
La recidiva viene indicata come elemento costitutivo nel caso di sanzione disciplinare che comporti il licenziamento, la stessa va inserita sia nella lettera di licenziamento sia nella lettera di contestazione in ragione del principio della c.d. “immutabilità” della contestazione ( Cass. n. 15566 del 10/06/2019) (Cass. n.21265 del 28/08/2018).
Nel caso in cui il giudice venga investito della questione sulla legittimità del provvedimento di licenziamento, può valutare la gravità in concreto dei singoli fatti addebitati oggetto della recidiva, ai fini dell’accertamento della proporzionalità della sanzione espulsiva