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Senza le procedure di autorizzazione è illegittima l’installazione dei controlli telematici a distanza.

La corte di Cassazione, con sentenza 18302/2016, ha dichiarato l’illegittimità dell’installazione, da parte dell’azienda, di apparecchi e software che consentono i controlli sulla navigazione internet e sulla casella di posta elettronica del dipendente.

L’installazione deve essere preceduta dalle procedure di autorizzazione indicata all’art. 4 della l. 300/70 e dagli adempimenti previsti dal codice della privacy  che all’art. 13 prevede la consegna dell’informativa al lavoratore.

Per quanto questa sentenza riguarda la versione antecedente dell’art. 4 all’introduzione dell’art. 23 del d.lgs. 151/2015 (che ha riscritto il sopra citato art. 4 sui  controlli a distanza) si può ritenere che questa interpretazione sia valida anche alla luce delle nuove modifiche apportate.

In questo caso particolare analizzato dalla Cassazione, il datore di lavoro non limitava l’accesso di alcuni siti di internet, ma attraverso il  sistema informatico venivano registrati gli accessi alla rete, conversando per un periodo variabile le informazioni.

Stessa cosa avveniva per la posta elettronica, dove il sistema informativo conservava tutti i messaggi in entrata ed in uscita, rendendoli disponibili alla visualizzazione da parte degli amministratori. Stessa cosa con le telefonate.

Di questa procedura il Garante della Privacy contestava il fatto che l’installazione fosse avvenuta senza il rispetto del previo accordo sindacale o, in mancanza, dell’autorizzazione amministrativa, e senza il rilascio dell’informativa e dell’acquisizione del consenso individuale.

Secondo la Cassazione le autorizzazioni sono “essenziali”  per legittimare l’utilizzo di tali controlli, perché costituiscono lo strumento, posto dal legislatore, per   bilanciare il diritto alla riservatezza (dei lavoratori) con il diritto alla protezione dei beni aziendali (del datore di lavoro).