La Corte Costituzionale con Sentenza n.194/2018 ha dichiarato l’illegittimità del c.1 art. 3 del d. lgs 23/2015 (Jobs Act) nella parte in cui determinava il calcolo dell’importo spettante al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo “pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione, utile per il calcolo del tfr, per ogni anno di servizio”.
La questione di legittimità era stata sollevata dal giudice del lavoro per i seguenti motivi:
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Disparità di trattamento nel calcolo dell’indennità tra lavoratori assunti prima e dopo il 07/03/2015 (data dell’entrata in vigore del contratto a “tutele crescenti”);
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Violazione del principio di uguaglianza da parte del d.lgs 23/2015 il quale prevede per il calcolo dell’indennità una tutela rigida ed inadeguata contro i licenziamenti ingiustificati.
La Corte Costituzionale investita della materia ha dichiarato l’illegittimità del c.1 art.3 d.lgs.23/2015 nella parte in cui prevede la determinazione dell’importo con il semplice calcolo matematico precedentemente descritto. Mentre per quanto riguarda il punto 1 la Corte afferma che non vi è contrasto con il principio di uguaglianza, in quanto il trattamento differenziato delle indennità, anche se applicato nella stessa fattispecie, tiene conto delle norme in vigore in momenti temporali differenti (prima e dopo il 07/03/2015). Questo costituisce un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche (principio della successione delle leggi nel tempo).
Per quanto riguarda l’illegittimità del calcolo dell’indennità la Corte Costituzionale basa la decisione su due principi:
- L’indennità così calcolata potrebbe non costituire un adeguato ristorno del danno nei confronti del lavoratore licenziato illegittimamente;
- L’indennità così calcolata non costituirebbe una adeguata misura per dissuadere il datore di lavoro dal licenziare ingiustamente.
A seguito di suddetta pronuncia viene rimessa alla “discrezionalità” del giudice la quantificazione dell’importo dell’indennità che dovrà tener conto, oltre dei criteri di anzianità indicati dal d.lgs. 23/2015 (e delle modifiche apportate dal Decreto Dignità L.96/2018) anche degli altri criteri riguardanti il numero di dipendenti, la dimensione aziendale, il comportamento delle parti.
Secondo la Corte il risarcimento basato solamente sul criterio dell’anzianità violerebbe i principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza, non considerando gli altri criteri storicamente rilevanti.
Di conseguenza sarà il giudice investito della materia del contendere a decidere in maniera discrezionale l’importo da riconoscere all’interno dei limiti tra minimo e massimo del risarcimento riconoscibile.
Ricordiamo che suddetti limiti erano stati indicati dal Jobs Act in un range da 4 a 24 mensilità, e successivamente aumentati dal Decreto Dignità da 6 a 36 mesi.