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Lavoro a tempo determinato

lavoro a tempo determinatoIl rapporto di lavoro a tempo determinato è di derivazione europea e viene disciplinato dal d.lgs 368/2001.

Il legislatore legittima l’uso di questa forma di rapporto di lavoro «a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo» anche se riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro.

L’art. 3 del d.lgs 368/2001 fa espressamente divieto di stipulare contratti a tempo determinato nei seguenti casi:

  1. Per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
  2. Nelle unità produttive in cui nei 6 mesi precedenti si è provveduto ai licenziamenti collettivi (l.223/1991) o sia operante una riduzione o sospensione dell’orario di lavoro con il trattamento di integrazione salariale;
  3. Le imprese che non abbiano proceduto alla valutazione dei rischi (d.lgs 81/2008).

La forma del contratto di lavoro deve essere scritta, indicando le ragioni e soprattutto il termine di scadenza.

Una significativa modifica della disciplina di questo contratto si è avuta con la riforma del lavoro l. 92/2012 (comunemente nota come “Fornero”), che ha toccato vari aspetti.

Innanzitutto, è introdotta la possibilità del c.d. contratto “acausale” , attraverso la quale il datore di lavoro può esimersi dall’indicare una causa giustificatrice nella stipula del contratto. L’esenzione dell’inserimento della causale ha validità per un singolo contratto con lo stesso lavoratore della durata massima di 12 mesi.

Sono aumentati i giorni di protrazione (art. 5) dopo la scadenza del termine (che non comporterebbe l’effetto della trasformazione automatica in rapporto di lavoro a tempo indeterminato) portandoli a 30 giorni nel caso in cui il contratto abbia avuto durata inferiore a sei mesi, e 50 giorni nel caso in cui sia superiore a 6 mesi.

In entrambi i casi, viene introdotto l’obbligo per il datore di lavoro della comunicazione preventiva, prima della scadenza del contratto, della protrazione al centro per l’impiego. Inoltre il datore di lavoro è obbligato a corrispondere una maggiorazione retributiva al lavoratore per ogni giorno di continuazione.

Per quanto riguarda la successione dei contratti a tempo determinato, il legislatore ha esteso i termini di pausa tra un contratto e l’altro in rispettivamente 60 e 90 giorni nel caso in cui il precedente contratto abbia avuto durata superiore o inferiore ai 6 mesi. Questi termini sono stati ulteriormente ridotti dal D.l. 76/2013 (decreto lavoro). In particolare la disciplina sui nuovi termini prevede adesso periodi che vanno da 10 a 20 giorni, o in alcuni casi è previsto l’azzeramento di questi.

Sussiste il limite dei 36 mesi della durata massima del rapporto tra datore e lavoratore superato il quale il contratto si considera a tempo indeterminato. C’è da aggiungere che nel calcolo di questi mesi, oltre i periodi di proroga e i rinnovi secondo la l. 92/2012, vanno computati anche i periodi di somministrazione con le medesime mansioni.

La l. 92/2012 ha modificato i termini di impugnazione del rapporto di lavoro e sono portati a 120 giorni, in via extragiudiziale, dalla cessazione del rapporto di lavoro e 180 giorni, in via giudiziale.
Ulteriori modifiche alla disciplina del rapporto a tempo determinato sono state apportate dal recente intervento avvenuto col Decreto Lavoro (d.l. 76/2013)