La diffamazione su Facebook e altri social networks

Si configura il reato di diffamazione a mezzo social network?

L’articolo 595 c.p. disciplina la diffamazione e la qualifica come il comportamento di chi offende l’altrui reputazione comunicando con più persone.

I commi 2 e 3 prevedono, in aggiunta, fattispecie incriminatrici più aggravate.

Per quanto concerne l’odierna esposizione, riveste un ruolo importante l’aggravante prevista al terzo comma dell’articolo 595 c.p. per la quale se l’offesa è recata con il mezzo della stampa, con altro mezzo di pubblicità o con atto pubblico, la pena è quella della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.

Alcune considerazioni.

Dal dettato normativo si evince come i social networks si prestino ad essere uno strumento utile a configurare il reato di diffamazione, peraltro aggravata, poiché pubblici ed accessibili ad una moltitudine di persone.

Invero, occorre precisare che in un primo momento tanto dottrina quanto giurisprudenza erano restie a ritenere possibile il configurarsi del reato diffamatorio a mezzo social network.

Recentemente, invece, sia le Corti d’Appello d’Italia che la Suprema Corte di Cassazione hanno radicalmente cambiato orientamento.

Si cita soltanto la Sentenza n. 24431/2015 della Cassazione Penale I Sezione, richiamata in una recente pronuncia del Tribunale Penale di Campobasso, secondo la quale i giudici di legittimità hanno ritenuto che la “fattispecie aggravata del delitto di diffamazione trova il suo fondamento nella potenzialità, nella idoneità e nella capacità del mezzo utilizzato, per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorché non individuate nello specifico ed apprezzabili soltanto in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa”.

Ed ancora, a confermare questo orientamento, è intervenuta, tra le altre, la Sentenza n.1281/2018 della Cassazione Penale V Sezione, nella quale si chiarisce che la funzione di una pubblicazione in “bacheca” reale o virtuale ovvero su un profilo Facebook è quella di condividere il contenuto pubblicato con più persone proprio per la natura “social” del programma.

Ammette, quindi, la Suprema Corte che sia possibile commettere il reato di diffamazione, con l’aggravante prevista dal terzo comma dell’articolo 595 c.p., anche a mezzo social network.

Naturalmente, analoga fattispecie delittuosa è configurabile in tutti quei social networks frequentati in maniera apprezzabile e tale da coinvolgere una pluralità di persone.

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