Un tempo si diceva che quando c’è l’amore c’è tutto e non si guarda a nulla. Ricordiamo il vecchio detto “due cuori e una capanna” che sottintende la volontà dei coniugi di condividere i beni materiali e non, finchè morte non li separi. Oggi, a volte, è più probabile che funzioni il detto secondo il quale l’amore è eterno finchè dura e quindi finchè divorzio non li separi.
Ma se in tempo di pace non si bada alle somme di denaro date al proprio coniuge, in tempo di guerra cosa succede? Il più delle volte si fanno quattro conti, pretendendo ferocemente la restituzione proprio di quelle somme elargite in precedenza con tanta amorevolezza.
Ebbene, il codice civile all’art. 192 prevede testualmente al comma 3° che: “Ciascuno dei coniugi può richiedere la restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune” e, quindi, che i prestiti fatti al coniuge nell’interesse della famiglia, attingendo alle proprie risorse patrimoniali, siano restituibili e che tali rimborsi e restituzioni si effettuino al momento dello scioglimento della comunione (comma 4°).
In breve, si tratta di quelle somme prestate al proprio consorte per aiutarlo in un momento di difficoltà lavorative o per ristrutturare la casa o per acquisti utili.
Tuttavia, la Corte di Cassazione, pronunciandosi sul caso concreto della richiesta di restituzione di un prestito fatto da una signora all’ex marito proprio in ragione di dette difficoltà, ha sovvertito lo schema opposto del giudice di prime cure, rigettando la domanda e affermando che “i ‘prestiti’ tra coniugi sono una modalità per fare fronte a quella solidarietà reciproca che dovrebbe esistere tra marito e moglie“.
In ogni caso, la Corte ha dichiarato che “il giudice di merito ha evidentemente escluso la sussistenza di circostanze” tali da determinare la restituzione del denaro; “in particolare non ha considerato tali, la documentazione prodotta dalla moglie, né il fatto – insiste piazza Cavour – che la consegna o un prestito di denaro tra coniugi avviene generalmente nella riservatezza della vita familiare, nè che i lavori di ristrutturazione della casa coniugale sono stati effettivamente eseguiti“.
Che conclusioni trarre, dunque, da tale ultimo orientamento? Davvero lo scopo mutualistico e la solidarietà che sono alla base dell’unione coniugale possono giustificare l’esborso di una somma di denaro senza che ne sia possibile la restituzione in un tempo successivo quando l’unione “materiale e spirituale” si sia ampiamente dissolta?