Il diritto di abitazione è un diritto che ha ad oggetto il godimento di una cosa altrui (un’unità abitativa) per il quale il titolare può abitare una casa per i bisogni suoi e della sua famiglia (natura personale del diritto).
Da questa definizione, discende il divieto di destinare la casa oggetto del diritto ad utilizzazioni diverse (Cass., sent. 14687/2014).
L’habitator (o abitante) non ha alcun diritto ai frutti e non può usare la casa in modi diversi rispetto al semplice alloggio, né può cederlo in locazione.
Secondo l’art. 1025 c.c., egli ha il diritto di abitare l’immobile per la porzione necessaria ai suoi bisogni e, se l’occupa per intero, è tenuto alle spese di coltura, alle riparazioni ordinarie e al pagamento dei tributi come fosse usufruttuario.
Può essere costituito mediante testamento, usucapione o contratto, per il quale è richiesta la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata di cui all’art. 1350 n. 4 c.c.
Un’unica ipotesi di costituzione legale del diritto di abitazione è prevista dall’art. 540 c.c. per il quale al coniuge del defunto, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano.
Tale norma è stata prevista al fine di tutelare le abitudini di vita del coniuge rimasto in vita ed evitargli l’ulteriore danno, incluso quello psicologico e morale, che potrebbe derivare dal dover abbandonare l’alloggio familiare.
Coerentemente a quest’ultimo orientamento, è interessante la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 4847/2013 che ha stabilito che il valore capitale di tali diritti acquisiti mortis causa deve essere stralciato dall’asse ereditario per poi procedere alla divisione di quest’ultimo tra tutti i coeredi, secondo le norme sulla successione legittima, non tenendo conto dell’attribuzione dei suddetti diritti secondo un meccanismo simile al prelegato.
Altro caso interessante riguardo il diritto di abitazione è quello che sorge a seguito della separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza.
In tal caso l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare al momento dell’apertura della successione fa venir meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione del diritto di abitazione al coniuge superstite (Cass. n . 22456/2014).