Ex marito invadente, è violazione di domicilio

Rottura e separazione con il coniuge e sentenza che sancisce l’assegnazione della casa.
Il provvedimento con il quale il giudice stabilisce che la casa familiare deva essere assegnata ad uno dei due coniugi (normalmente l’ex moglie) quale luogo dove poter continuare a convivere con i figli (qualora ci fossero) è una prassi nelle decisioni di separazione/divorzio.
Con lo stesso provvedimento il Giudice vuole tutelare principalmente la posizione di eventuali figli della coppia: gli stessi dovranno rimanere all’interno del nido familiare per evitare un’ulteriore crisi derivante dalla separazione dei propri genitori.
Orbene, con l’assegnazione della abitazione ad uno dei due ex coniugi, l’altro non potrà più vivere all’interno ed accedere se non tramite il consenso dell’ex partner.
Ed invero, una eventuale intromissione illecita comporterebbe probabilmente la violazione dell’art. 614 c.p. (violazione di domicilio).
Il reato che punisce chiunque si introduca arbitrariamente all’interno di una proprietà altrui senza il consenso della persona interessata può essere punito con la pena fino a tre anni.
Detta sanzione penale, che normalmente nell’uso comune può essere applicata contro i ladri d’appartamento, può trovare spazio anche nei confronti di mariti/ex coniugi particolarmente molesti ed in astio con il proprio ex partner.
Infatti, la condotta incriminata si sostanzia effettivamente nell’intromettersi illecitamente all’interno dell’appartamento senza un naturale consenso della persona interessata.
La stessa giurisprudenza di legittimità afferma pacificamente che “perché sussista il reato di violazione di domicilio, con il quale è tra l’altro perseguito chi si introduce o si trattiene nell’abitazione altrui contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, la volontà dell’avente diritto all’esclusione di altri dalla propria abitazione deve essere manifestata espressamente ovvero deve risultare da circostanze univoche. Non basta, quindi, una semplice presunzione di dissenso; tuttavia, quando ci sia la certezza che l’avente diritto non avrebbe consentito l’introduzione nella propria abitazione, se ne avesse avuto tempestiva conoscenza, non vi è semplice presunzione di dissenso, ma la volontà tacita del titolare dello ius prohibendi: ciò che si verifica quando, prescindendo dalla clandestinità o dall’assenza di violenza sulle cose, l’introduzione avvenga per un fine illecito, essendo in certo contrasto con la volontà dell’avente diritto, pur non manifestata espressamente.” (Cass. Pen., sez. V, sent. n° 34892 del 27 aprile 2016).
Attualmente però, ai fini difensivi nei confronti della “persona invadente”, la giurisprudenza è abbastanza garantista in quanto il mero dissenso della persona offesa non basta per configurare il reato, ma vi deve essere la piena certezza della volontà della persona interessata ad escludere dall’abitazione la persona molesta.
Argomento ancora in fase di contrasto giurisprudenziale è l’eventuale consenso di una delle altre persone abitanti della casa.
Ed infatti, nel momento in cui una delle altre persone consente o fa introdurre volontariamente il presunto soggetto sgradito cosa si configura? Nel dubbio giurisprudenziale, attualmente il consiglio è di verificare che vi sia l’espressa volontà da parte di tutti.

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