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Il lavoro intermittente

lavoro intermittenteIl lavoro intermittente (detto anche “a chiamata” o job to call) introdotto dal d.lgs. 276/2003 è un contratto di lavoro subordinato, a tempo determinato o indeterminato, mediante il quale un lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro che può utilizzare la prestazione lavorativa quando ne ha realmente bisogno.

Questo modello contrattuale si caratterizza per l’elemento di discontinuità delle prestazioni lavorative, le quali vengono rese solo nei casi di richiesta del datore di lavoro.

Proprio per questo aspetto il contratto intermittente più volte è stato criticato per il fatto che sia caratterizzato da un eccessivo sbilanciamento delle posizioni contrattuali a sfavore del lavoratore.

Abrogato dalla l. 247/2007, l’anno successivo è stato ripristinato dalla l. 133/2008, sino alle ultime modifiche avvenute tramite la l. 92/2012 (riforma Fornero).

Questo tipo di contratto, in base alle recenti modifiche, si utilizza nelle seguente ipotesi:

– soggetti di età superiore a 55 anni e che non abbiano compiuto 24 anni (anche se la prestazione lavorativa può essere svolta entro il venticinquesimo anno d’età);

– svolgimento di prestazioni a carattere discontinuo o intermittente secondo le esigenze indicate nei CCNL , che determinerà i settori dove applicare questo tipo di contratto; nel caso di carenza della regolamentazione in via sostitutiva si applicheranno le categorie individuate dal D.M. 23/10/2004 che opera un mero rinvio alla tabella allegata al R.D. 2657/1923 dove vengono indicate varie tipologie di lavoro;

– per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese e dell’anno individuati dal legislatore (in precedenza vi era la possibilità di rinviare alla contrattazione collettiva).

L’art.34 c.3 del d.lgs. 276/03 individua le varie ipotesi in cui è fatto divieto dell’utilizzo di questa forma di lavoro:

– sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;

– nelle unità produttive nelle quali nei sei mesi precedenti si sia proceduto a licenziamenti collettivi, riduzione di orario o sospensione dell’attività lavorativa con trattamenti integrativi del reddito (salve diversi accordi posti con le associazioni sindacali);

– nel caso di aziende che non abbiano effettuato la valutazione rischi ai sensi del d.lgs 81/08

Questo modello di lavoro discontinuo può avere due forme: quella con l’obbligo di risposta e senza l’obbligo di risposta.

Nel primo caso il lavoratore si impegna a garantire la disponibilità e ha diritto ad una indennità di “disponibilità” appunto (stabilita dai contratti collettivi e comunque non inferiore al 20% della retribuzione prevista dal CCNL applicato).

Nel caso di “senza obbligo di risposta”, durante i periodi inattivi il lavoratore non è obbligato a rimanere a disposizione del datore ne a rispondere alla chiamata.

Secondo quanto indicato dall’art. 35 c.1. del d lgs 276/2003, il contratto deve avere forma scritta a probationem indicando i vari elementi richiesti dalla legge.

Un ulteriore ed rilevante obbligo introdotto dalla l. 92/2012 in capo al datore di lavoro è quello della preventiva comunicazione alla direzione territoriale del lavoro attraverso diverse modalità (sms, fax, posta elettronica), in caso di inadempimento si incorrerà in sanzioni amministrative.