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Dieci anni da Lehman Brothers, conflitto di interessi risolto?

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Durante gli ultimi dieci anni molto si è dibattuto riguardo le cause della crisi finanziaria del 2008 e della lunga recessione che ne è seguita. Personalmente, credo che il filo conduttore sia la presenza di dinamiche di conflitto di interessi a tutti i livelli della filiera dei prodotti finanziari. Il conflitto si verifica quando l’interesse di una persona interferisce con quello di un’altra persona verso cui la prima ha precisi doveri e responsabilità. L’industria finanziaria è particolarmente toccata dal problema, avendo a che fare con gli interessi economici e finanziari di individui e imprese; per questo motivo tale conflitto si manifesta in diversi modi e a vari livelli.

Un problema sottovalutato

Molto si è parlato delle dinamiche di conflitto a livello macro (tra banche e banche, tra banche e politica, tra banche e regolatori) e della loro relazione con l’instabilità del sistema finanziario. Più sottotraccia, almeno per quanto riguarda l’elaborazione giornalistica e accademica, è passato invece il conflitto di interessi che si genera nel rapporto tra intermediari e investitori, ovvero nel segmento retail del mercato dei servizi finanziari. Qualcosa di ampiamente sottovalutato anche nel mondo pre Lehman Brothers. Si pensi che la disciplina giuridica pre crisi non si era mai curata di fornire una definizione completa del concetto, consentendo ampi margini (forse troppo ampi) di discrezionalità agli operatori.

Il problema è estremamente attuale perché in Italia negli ultimi dieci anni, nonostante la crisi, la ricchezza dei privati è cresciuta in termini assoluti di quasi 1.000 miliardi, arrivando a toccare secondo Bankitalia la quota di 4.400 miliardi. Nello stesso periodo l’opinione pubblica è rimasta scioccata da moltissimi casi di risparmio tradito, che hanno in parte compromesso la reputazione di una filiera che si trova in una fase di transizione industriale e tecnologica. Nel 2008 si contavano oltre 61.000 promotori finanziari (di cui 40.000 attivi) e circa 32.000 sportelli bancari; oggi i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede sono meno di 56.000 (di cui 35.000 attivi) e gli sportelli attorno ai 27.000. Un taglio rispettivamente del 10% e del 15% in dieci anni, addirittura del 60% se si guarda ai consulenti under 40.

Emergenza educazione finanziaria

Lo scarso livello di diffusione dell’educazione finanziaria rende il conflitto d’interessi un nodo ancora più centrale in Italia. Circa 1 risparmiatore su 2 nel nostro Paese ancora oggi non comprende la relazione rischio-rendimento e il 33% non riesce ad apprezzare i vantaggi della diversificazione; nel 2007 quest’ultima percentuale risultava essere del 40%. Vista la centralità che il tema ha avuto negli ultimi dieci anni, ci saremmo aspettati senz’altro una consapevolezza maggiore. La scarsa educazione finanziaria aumenta l’asimmetria informativa tra operatore e risparmiatore dando adito a pratiche segnate dal conflitto di interessi. Suggerire obbligazioni subordinate senza valutare con attenzione il profilo di rischio e gli obiettivi di investimento del cliente, spingere a sottoscrivere azioni o polizze assicurative in cambio di un mutuo, raccomandare un fondo comune d’investimento più costoso o che preveda maggiori retrocessioni: sono tutti esempi di un meccanismo inefficiente e in alcuni casi rischioso per i risparmiatori, un meccanismo che purtroppo sopravvive anche nel mondo post Lehman e che ha un costo sociale quantificabile nell’ordine dei miliardi di euro.

È evidente che per far fronte alla crescente domanda di consulenza finanziaria, in un mercato sempre più competitivo, l’unica direzione possibile è quella dell’evoluzione verso un modello più maturo, caratterizzato da maggiore trasparenza e dal pieno controllo del conflitto di interessi. Si tratta di un processo di fondamentale importanza anche per garantire la stabilità e la tenuta del sistema finanziario. La storia recente ci ha insegnato che non esiste riforma efficace senza che si proceda con un profondo riordino della fase conclusiva del ciclo di vendita dei prodotti finanziari. In generale le azioni legislative che sono state intraprese sono state spesso foriere di distorsioni e contraddizioni. Si pensi per esempio al bail in, norma che è stata introdotta per limitare i conflitti di interesse a livello di management bancario ma che ha finito per lasciare esposti migliaia di risparmiatori, costringendo lo Stato a intervenire e andando quindi a vanificare il senso stesso della norma. La lezione di questi dieci anni è che qualsiasi riforma si voglia provare a intraprendere essa deve riguardare il sistema finanziario nella sua interezza. Non si può pensare di affrontare il problema a comportamenti stagni. Una maturazione del mercato retail è necessaria per ottenere un’industria finanziaria robusta e inclusiva.

Timidi progressi sul conflitto di interessi

ehman brothers la crisi e mifid IIIn questa direzione il passo più significativo è stata sicuramente la direttiva MiFID nelle sue due versioni. Il legislatore ha posto in capo all’intermediario il compito di individuare le più “basilari” situazioni di conflitto di interessi, di raccogliere maggiori informazioni sul proprio cliente valutandone adeguatezza e appropriatezza dell’investimento. Attraverso l’introduzione del servizio di consulenza in materia di investimenti, la prima versione della direttiva MiFID ha aperto la strada alla figura del consulente finanziario indipendente anche in Italia. Questa figura, al pari delle società di consulenza finanziaria indipendente, è solo apparentemente simile a quelle già presenti nel settore, ma si differenzia (e si continuerà a differenziare) per l’assenza totale di inducements: il meccanismo alla base delle retrocessioni rischia spesso e volentieri di lasciare spazio a situazioni di conflitto di interesse.

Certo il processo non è stato privo di resistenze: ci sono voluti dieci anni prima che questa figura trovasse pieno riconoscimento nell’ordinamento. Si pensi che la sezione destinata a essi nell’albo non è ancora attiva (anche se lo sarà entro la fine dell’anno). Tuttavia si intravedono dei segnali incoraggianti nel modo di operare degli addetti ai lavori. Non si trovano più (quasi) esclusivamente distributori di prodotti “della casa” e inizia a prendere realmente piede il cosiddetto multibrand. Sebbene lontani dall’avere una filiera distributiva eterogenea, il peso percentuale del patrimonio “proprio” promosso dalle reti è passato in dieci anni da circa l’80% al 70%, a vantaggio delle case “terze” (cioè non appartenenti allo stesso gruppo del distributore/collocatore). Un trend accompagnato anche da un costante incremento della presenza di asset manager stranieri a svantaggio dei fondi di diritto italiano (il cui peso è diminuito da oltre il 50% sul patrimonio complessivo in OICR al 25% in dieci anni). Trend opposto invece, è stato quello dei costi che relativamente a questa tipologia di strumenti sono cresciuti di oltre il 18% dal 2008 (passando dall’1,6% all’1,9% in termini di TSC – Total Shareholder Cost).

Effetto MiFID II

ehman brothers la crisi e mifid IISarà interessante capire se la recentissima normativa MiFID II mescolerà ulteriormente le carte in tavola. La direttiva infatti rafforza la rilevanza di concetti chiave quale l’indipendenza (o meno) degli intermediari; inoltre definisce e gestisce le situazioni di conflitto di interesse. L’intento, almeno sulla carta, è quello di tutelare quanto più possibile il risparmiatore e intervenire anche su aspetti finora trascurati come la product governance e i costi. L’idea è di accostare la consulenza sempre più al concetto di “servizio” anziché di “prodotto”. Quello che ci aspettiamo è una concentrazione del mercato, una diminuzione di accordi distributivi tra collocatori e società prodotto, un incremento di soluzioni “contenitore” (come Gestioni Patrimoniali o Polizze Ramo III) e un maggior investimento nella competenza degli operatori, con conseguente diminuzione del numero di essi come avvenuto in UK con l’avvento della Retail Distribution Review (anche per effetto della digitalizzazione del settore finanziario, compreso quello della consulenza). Quello che ci auspichiamo è una maggiore trasparenza (su inducements e potenziali conflitti di interessi), una diminuzione dei costi per il cliente finale e un rapporto sempre più allineato tra intermediario e risparmiatore: solo così l’industria del risparmio potrà dimostrarsi all’altezza del proprio compito storico in questa fase delicata.